21 novembre 2008 Amerigo Lualdi
Le altre due vittime denunciate dalla Filt Cgil, invece, lavoravano nell’ officina manutenzione rotabili di La Spezia-Migliarina. Un’inquietante analogia, un caso o una quasi certezza? «Impossibile dirlo anche perché l’incubazione del male è spesso di decenni - prosegue il sindacalista - So soltanto che la Spezia è la prima città al mondo per morti di mesotelioma a causa dell’amianto e che, mentre per altre categorie di lavoratori il relativo rischio viene riconosciuto dalla legge e dall’Inail, per i ferrovieri ciò non accade. Anzi, fino al 2003 è mancata perfino una legge e, per quella vigente dal 2003 a oggi, non esistono circolari interne che dicano come applicarla. Rfi sostiene addirittura che il rischio amianto non c’è mai stato».
Qualcosa di importante, comunque, si è già mosso. Corradini cita sentenze della Corte Costituzionale e di quella di Cassazione nonché il caso del febbraio 2006 quando, per la prima volta in Italia, il giudice del lavoro di Termini Imerese sancì il principio che la prestazione d’opera in un luogo di lavoro “a rischio amianto” rappresenta in sé un “fattore usurante”. Fu un macchinista ferroviere siciliano a intentare con successo una causa all’Inps vedendosi riconoscere il diritto «alla moltiplicazione dell’importo pensionistico per un coefficiente di 1,5 per l’intero periodo di prestazione di lavoro in favore di Trenitalia Spa». L’Inail ha fornito una tabella in cui attesta che, in nove anni, sono stati riconosciuti undici casi di macchinisti colpiti da mesotelioma pleurico: secondo le statistiche in possesso della Filt Cgil e sempre desunte dai dati Inail, i casi di mesotelioma pleurico nella popolazione sono uno ogni centomila abitanti all’anno mentre tra i macchinisti, negli ultimi anni, il rapporto è stato di circa uno a 18 mila, ovvero in percentuale cinque o sei volte superiore. Le fibre d’amianto sono quasi invisibili, così sottili che ce ne vogliono 335 mila per fare il diametro di un capello ma sono capaci di provocare malattie mortali. Inoltre il tempo di incubazione può durare fino a 40 anni, così che il picco della mortalità è previsto tra il 2013 e il 2015.
Che fare? «Vediamo come si comporterà l’azienda conclude Corradini - Da tre giorni cerco di parlare con qualcuno senza riuscirci. Potrebbe essere avviata dai familiari delle vittime la strada legale che passa attraverso la Corte dei Conti ma è lunga, ci vogliono almeno cinque anni».